Sono un gattofilo, lo ammetto, e non me ne pento. Dagli animali non possiamo che trarre saggezza, pazienza e senso del rispetto della loro comunità. In più, hanno il difetto di fidarsi di noi uomini. Ma la storia che vi sto a raccontare non l’ho scritta io. Anzi.
A volte per descrivere i misteri della condizione umana serve più una favola che un trattato di filosofia. In fondo, da Esopo a Fedro, arrivando sino a La Fontaine e ad Animal Farm di Orwell, il mondo degli animali ha sempre rappresentato una miniera inesauribile di simboli e allegorie utili a meglio interpretare il mondo e le relazioni tra esseri umani. Ai grandi di questa tradizione si aggiunge ora L’ultimo gatto nero, di Evghenios Trivizàs, tradotto in italiano per i tipi di Crocetti Editore. È un romanzo straordinario, per tutte le età e per chiunque ami la natura e gli animali, ed è, al contempo, una potente allegoria delle forme con cui il Potere ci induce a persuasioni e comportamenti assurdi e disumani.
In un’isola come tante, con pregi e difetti, simbolo di un paese occidentale come tanti altri, fa la sua comparsa una misteriosa setta semisegreta che, apparentemente, vuole arrivare all’eliminazione di tutti i gatti neri, considerati il principio di ogni male. In realtà, come si scoprirà nel corso del romanzo, dietro quest’assurda superstizione si celano loschi traffici e interessi indicibili, in un diabolico intreccio degno del più moderno romanzo criminale.
Gli eventi precipitano quando Guglielmo La Gobba, Presidente della Confraternita dei Superstiziosi, una sorta di club di illuminati, convinto di recare la chiave del nuovo ordine sociale dell’Isola, incontra in una cena di lavoro i politici del Governo. Alla sua richiesta di un contributo del Governo alla lotta contro la Iettatura, i ministri rispondono dapprima con un risolino, rammentando i gravissimi problemi dell’Isola: disoccupazione, inflazione, svalutazione, debito pubblico, riduzione del prodotto interno lordo, code negli ospedali, scioperi nelle miniere, criminalità in aumento, furti, violenze, rapine, corruzione, marce di protesta, manifestazioni, occupazioni … La Gobba – l’Illuminato – aggiunge prontamente all’elenco dei problemi citati dai vari ministri, la possibilità, anzi la certezza, che il Governo venga sconfitto alle ormai prossime elezioni, e offre ai commensali, ora finalmente attenti, una possibile via d’uscita: «Se però la gente non attribuisse i problemi del Paese alla vostra cattiva gestione? Se non criticasse il vostro governo per i fallimenti della politica economica, sociale e finanziaria? Se gli elettori si convincessero che la colpa di tutto quello che non va nel Paese non è vostra, ma di qualcun altro?».
In breve, la Confraternita dei Superstiziosi, con il prezioso sostegno dei dirigenti della Società Legalità, convincono il Governo che occorre convogliare la rabbia popolare su un facile capro espiatorio, distogliendo l’attenzione dai veri problemi del Paese. In fondo c’è sempre un gatto nero che attraversa la strada al momento sbagliato … Il Ministro per l’Ordine Pubblico promette tutto il suo aiuto e l’appoggio della stampa amica e in breve tempo la campagna di “distrazione” ha inizio. Il ministro dell’Economia dispone subito tasse e gabelle supplementari per i cittadini che non denunceranno il possesso di un gatto nero. Intervengono polizia ed esercito. Tutto il Governo è compatto, perché spera, con quella campagna, di essere facilmente rieletto. Per la verità, come si scoprirà nel prosieguo della narrazione, tanto la Confraternita che la Società Legalità, stanno perseguendo i propri loschi interessi, servendosi del Governo, a sua volta prigioniero di un sistema di corruzione profonda e di assenza totale di vera idealità politica. Il progetto sembra riuscire nel suo intento e il lettore ne sperimenta tutta la tensione e la drammaticità, vivendolo dalla parte dei suoi protagonisti felini.
Difatti, il romanzo, che è narrato in prima persona dal gatto nero protagonista principale, è anche una straordinaria storia d’amore e di amicizia. L’ultimo dei gatti neri, dopo aver perso amici e compagni, vede allargarsi la persecuzione a tutti i gatti di ogni colore, pavidamente rimasti sino ad allora ai margini, limitandosi a vaghi proclami di solidarietà, nella speranza che la campagna di annientamento avrebbe sempre e solo riguardato gli “altri”. Con l’aiuto di un picchio e di un topolino, il piano criminale della Confraternita e della Società Legalità è mandato in fumo e l’Isola salvata dall’invasione dei ratti. Dei coraggiosi giornalisti rivelano poi all’opinione pubblica i sordidi piani del Governo e degli affaristi suoi alleati e l’Isola piano piano ritrova il suo vecchio aspetto. La paura svanisce e così anche la diffidenza. Non fosse per la memoria delle tante vittime innocenti, si sarebbe detto che la grande persecuzione non c’era mai stata. Conclude, allora, l’ultimo gatto nero: «In fondo al cuore, però, so che qui nella nostra isola, come altrove, i gatti dimenticano, gli uomini dimenticano, e non occorre molto perché la pazzia divampi di nuovo e, maledizione, ricominci tutto da capo».
Forse non è un caso che l’Autore di questo piccolo capolavoro venga proprio dalla Grecia martoriata dalla grande finanza, la stessa che, con l’appoggio dei “media amici” ha da tempo distolto l’attenzione dai veri problemi e preparando una nuova dittatura.
Corredano il volume le garbate e ironiche illustrazioni in bianco e nero di Stephen West, che contribuiscono a dare a tutta la vicenda narrata un certo sapore misteriosamente romantico, a metà strada tra le atmosfere gotiche di Tim Burton e le fantasiose invenzioni letterarie di Roald Dahl. Come dire, ancora una volta: la fantasia e il pensiero ci terrano vivi; o, per parafrasare Boris Pasternak: verrà il tempo in cui cantare le farfalle (o i gatti) sarà inteso come un atto rivoluzionario nei confronti di un Potere, per sua natura grigio e ottuso.
Evghenios Trivizàs, L’ultimo gatto nero, Crocetti Editore, 295p., Eur. 13, 90.