“Questo giornale non ha padrone, perché nemmeno noi lo siamo.
Tu solo lettore puoi esserlo, se vuoi.
Noi te lo offriamo”,
Queste le parole simbolo di quarant’anni di attività de IL GIORNALE che ancora oggi viene definito “di Indro Montanelli”.
Parole che segnano indelebilmente la strada da seguire, quella linea editoriale improntata sulla “libertà” nel senso più ampio e completo del significato.
Alla nascita de Il Giornale nel 1974 non si poteva certo immaginare che si sarebbe reso necessario pensare alla versione web, solo il 15 Luglio 2006 nascerà Twitter e solo nel 2011 arriverà in Italia un Tablet sui quali oggi passa buona parte delle notizie. Quarant’anni di comunicazione significa essere anche riusciti a mantenere una linea che ha consentito di resistere ai terremoti socio economici come quello in atto anche in quest’anno, si pensi solo che a fronte di tutto ciò negli Stati Uniti si è passati da 41,4 milioni di copie vendute di quotidiani nel 1941 ad un livello infinitamente inferiore nonostante il triplicare dei nuclei famigliari.
Il livello più basso della storia moderna come hanno rivelato le recenti statistiche pubblicate dagli osservatori internazionali.
Così il 15 Agosto 1973, come rivela Paolo Granzotto nell’articolo del 25 Giugno 1994, nasceva durante un tradizionale Picnic sul “Prato del Dio Silvano” a pochi passi da Cortina d’Ampezzo, una nuova idea editoriale, fresca, giovane e senza quattrini.
Consideriamo però ora brevemente il contesto storico in cui IL GIORNALE muoveva i primi passi perché tutto prese l’avvio per volontà di Indro Montanelli. Il fondatore del quotidiano di via Gaetano Negri era stato assunto nel 1937 al Corriere della Sera portando sempre più in evidenza le sue doti intellettuali e le idee di libertà. Caratteristiche che accentuarono sempre più i dissensi con la direzione di Piero Ottone che proprio in quel periodo aveva preso una spiccata deviazione a “sinistra”, elementi determinanti che portarono alla nascita di un nuovo progetto che ha compiuto quarant’anni. Un percorso ricco di contenuti che hanno fatto discutere e riflettere, ma anche macchiato dal gravissimo attentato a Montanelli che dimostra come la libertà d’espressione e di pensiero possa dar molto fastidio.
Siamo in un decennio buio, periodo noto con il triste nome de “ gli anni di piombo” che ancora oggi a pensarci mettono i brividi per la crudeltà, la spietatezza e determinazione con cui l’Italia si è macchiata di tragedie molto gravi.
Bruno Vespa nella sua Storia d’Italia (ed. Mondadori) l’ha definita “guerra civile ” in virtù dell’evidente crisi sociale, politica e istituzionale che il paese stava attraversando sottovalutando forse l’avanzata delle minacce terroristiche interne.
Il 2 giugno 1977 nel mirino fu purtroppo Indro Montanelli che ricevette ben quattro colpi su otto nelle gambe, momenti interminabili che il direttore ricorda citando Mussolini quando gli disse “se devi morire, muori in piedi”.
Di solito i primi quarant’anni di ognuno corrispondono al momento in cui si fanno un po’ i conti con se stessi, in un certo senso ci si guarda nello specchio e si prova a tirare le somme di uno spaccato di vita piuttosto importante, è il momento dei bilanci e non solo economici, viene così da ripensare ai direttori che hanno preso parte a questa autorevole avventura editoriale, da Montanelli a Mario Cervi, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Mario Giordano fino ad Alessandro Sallusti.
Una libertà d’opinione che permise al fondatore anche di esprimersi sulle idee di Carlo Cattaneo: “Posso solo dire che l’Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l’Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c’è un’Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell’Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.”
(da il settimanale “Il Federalismo”, direttore responsabile Stefania Piazzo)